L'Unità - venerdì 19 dicembre 1997
E del
1997 i critici salvano...
di
Giulio
Ferroni
Tra gli Italiani
invece suggerisco la lettura del romanzo di Stefano Marcelli,
"Il dio femmina stuprato nel bosco" (Fazi, p. 202, lire
22.000). È un testo che rivela un senso eccezionale della vita e
della natura. Altro che pulpismo...
il diario
-
mercoledì 11
Febbraio
1998
Il
fitofilo. La storia dell'uomo che amava le
piante.
di
Massimo
Onofri
Che romanzo
singolare e affollatissimo ha scritto Stefano Marcelli. E di
qualità così indocile da non consentire interpretazioni veloci.
Per focalizzarne con una qualche approssimazione il sentimento
che lo informa, sono dovuto arrivare a pagina 88, in uno di quei
punti in cui l'autore, sempre ironico e divertito, prende la
parola:
"Sarebbe bello
poter percorrere insieme le strade di tutti i personaggi fin qui
incontrati, e condividerne le sorti ultime. Siccome però il filo
della nostra storia vuole che seguiamo il giovane Abramo, perché
più tardi diventerà il medico di Giacomo Canto, allora ne
vedremo alcuni sparire senza dire neanche una parola e altri
sfumare ai margini dopo una breve comparsa". Già, sarebbe
bello poter raccontare tutte le storie appena intuite dentro
quella principale: e Marcelli fa di tutto perché il loro
riverbero duri. Ecco: è proprio questo desiderio inesauribile e
screziato di narrare, un desiderio di natura metamorfica, ad
assicurate la verità più ardita del libro.
La storia principale
è appunto quella di Abramo Veritier e Giacomo Canto: due
protagonisti dello Strano caso del bambino degli alberi, per stare
al titolo della prima parte del romanzo. Li incontriamo subito,
come dentro un'istantanea: Abramo è quasi centenario, e vive a
Mantova, accudito da una premurosa governante che ha conosciuto
solo con lui, da pochi anni ed in età matura, le gioie del
sesso: è di origine ebraica ma cattolico, è un famoso
psicanalista ed è stato stimatissimo allievo del celeberrimo
Edoardo Weiss, nonché autore di rivoluzionarie interpretazioni
della Bibbia, ma ha anche sostenuto originali teorie sul sesso di
Dio: la sua sembra ormai una vecchiaia confortevole e salutista,
fuori dal mondo, quando si trova a leggere, per sbaglio, la
notizia che Canto, il profeta di una nuova filosofia, è
diventato il premier del Paese, quel bambino che, tanti anni
prima, affetto da una misteriosissima perversione (la fitofilia),
che lo induceva ad accoppiarsi con gli alberi, aveva
rappresentato il caso più importante di tutta la sua carriera.
Ma Abramo e Giacomo
non sono solo i protagonisti di questo appassionante romanzo.
Sono soprattutto i catalizzatori della lussureggiante fantasia di
Marcelli. Prendete la seconda parte del libro, quella intitolata Giorni
cicatrice dell'anima: vi troverete una
piccola saga ebraica, quella dei Pravdakim in fuga da una Russia
saccheggiata dai bolscevichi, costretti a riparare prima in
Francia e poi in Italia, a cambiare nome ed identità religiosa:
una saga che allinea personaggi indimenticabili come Nathan Pravdakim, il nonno di Abramo, l'usuraio col vizio delle donne
che morirà devastato dalla sifilide. Ma anche a prenderlo dal
lato di Giacomo, per i rami del suo albero genealogico, il
romanzo non è avaro di soddisfazioni; basterà inseguire la
vogliosa madre del piccolo malato, nel racconto che di se stessa,
di suo marito, fa allo psicanalista. Della terza parte, quella
che dà il titolo al libro, la più folta di sorprese, segnalerò
solo un misteriosofico allestimento di invenzioni. Ma la
singolarità del libro non apparirebbe tutta se non ne
sottolineassi il prepotente pansessualismo (leggete le pagine
sugli accoppiamenti primaverili dei genitori di Giacomo), il
curioso panpsichismo (penso ai continui colloqui di Abramo con
gli organi del proprio corpo), che ne fanno il documento più
eccentrico di questa stagione letteraria. Lasciamo stare, allora,
le prevedibili ingenuità (magari in qualche dialogo): questo
esordio è davvero sorprendente.
D. la Repubblica 6 gennaio 1998
Promesse
d'autore
di
Francesco
Durante
Il dio femmina
stuprato nel bosco, di Stefano Marcelli, altro esordio, stavolta
di un quarantenne: un libro che con un po' di fatica si potrebbe
definire favolistico-morale. Si fa pure fatica a riassumerlo,
tanto è il carico di fantasia, di sorpresa che lo sottende e lo
giustifica. E' la storia di Giacomo Canto, figlio di una
ninfomane e di un dio dei boschi: e di mille altri personaggi,
all'inizio del secolo. Un libro iperbolico e ipertrofico ma
(curiosamente) non per invadenza di linguaggio: piuttosto, per
ricchezza di idee e invenzioni visionarie.
IL SOLE 24 ORE - domenica 23 Novembre 1997
Torna
talvolta il piacere di raccontare
di
Ermanno
Paccagnini
È accaduto non di rado, in
questi anni, di sottolineare come la produzione creativa italiana
sia stata caratterizzata da scritture più che da narrazioni, e
come sia stato sempre più spesso marginalizzato quello che
Arpino amava definire il "raccontatore di storie". Il
discorso non vale tanto per le generazioni precedenti, che sanno
comunque ancora esprimere delle fedeltà (penso a un Tomizza, per
esempio); quanto per le più prossime a noi, anche se a loro
volta in grado di esprimere talenti in tal senso, come si può
verificare con le affabulazioni pur non sempre adeguatamente
registrate (peraltro: per eccesso di narratività) di un Maggiani. Insomma: per anni i giovani si sono spesso trovati a
proporre scavi interiori (personali, di gruppo, generazionali),
che cercavano di rivivere in forza di scrittura. Una dimensione
che negli ultimi tempi mi pare subire un significativo mutamento
di rotta: nel senso del recupero del piacere di raccontare, anche
se poi loggetto del racconto piacevole e tranquillizzante
non è, dato che le preferenze di tale narratività poggiano
sulla "narrazione di genere", come il giallo, il noir,
la fantascienza e così via.
Non esclusivamente,
però. E lo evidenzia lesordio di Stefano Marcelli (classe
1958) con Il dio femmina stuprato nel bosco,
un romanzo in cui il lettore coglie subito la vena
dellautore e il suo piacere di raccontare. Non tutto
funziona ovviamente, e anzi diverse componenti restano irrisolte;
ma si registra una qualità: ossia che Marcelli possiede il polso
del narratore. Le componenti che si intrecciano nel libro sono
diverse e varie: dallebraismo alla psicanoalisi, al
fantastico, al romanzo di formazione vissuto nella componente
memoriale, che si coagulano nel flash-back che una pagina di
giornale con la notizia dellelezione per unanime volontà
popolare del nuovo premier, Giacomo Canto, attiva nel vecchio
psicanalista Abramo Veritier. Il lettore si trova a rivivere
così, nellatmosfera dellItalia di oggi accennata
sullo sfondo, la storia duna duplice "malattia":
la fitofilia del piccolo Giacomo, figlio della ninfomane Virginia
e di Silvano, dio dei boschi (si badi al gioco dei nomi), e della
sua gioia insieme bizzarra e favolistica nel congiungersi con gli
alberi; e il dramma della conoscenza che investe Abramo, che si
esplicita in dichiarazioni pubbliche sul sesso femminile di Dio,
così come si secreta nelle private riflessioni e indagini sul
magico mondo arboreo retto da Ur, popolato da esseri fantastici,
in cui vuole entrare con la forza.
Un romanzo di pochi
personaggi (ai ricordati va aggiunto quello simpaticamente vitale
della governante), che quando si abbandona al gusto del narrare
scorre fluidamente e tiene avvinto il lettore. Va riconosciuto
infatti a Marcelli il possesso non solo del ritmo del racconto,
ma anche di quello della frase, della prosa. Che però conosce
momenti di freno, specie quando lautore, medico, rompe
lequilibrio instauratosi tra professione e narrazione e
cede a momenti esplicativi (pp. 14-15); ad altri più
"tecnici" (i capitoli 6 e 7, da scorciare; e anche 8,
dove un po "si pianta"); o anche da semplici
postille (pp. 98, 141, 147, 163); così come chiede di essere
meglio chiarita la peraltro delicata intrusione del narratore che
saffaccia a "dire la sua" (funziona bene invece
il flash-back delle origini familiari). Un peccato: perché la
conquista delle ragioni del vivere del professor Veritier viene
poi sviluppata in un racconto di pregevole ariosità.
La Stampa 6 novembre 1997
Amare
gli alberi e un dio femmina
Stefano
Marcelli: esordio nel bosco di Virgilio
intervista di
Bruno
Quaranta
Potenza
dell'aforisma. "Accadde che su La Stampa, un anno fa, Guido
Ceronetti accolse nella rubrica Oggi
una mia sentenza: "La vita: malattia mortale che si
trasmette per via sessuale". Trasformai la citazione in un
biglietto da visita. Lo mostrai a questo e a quell'editore - fino
ad allora non ero riuscito a perforare la cortina della
diffidenza o dell'indifferenza -, finché Fazi mi arruolò. Anche
Busi mi intercettò, ma l'editing a cui avrebbe voluto sottoporre
il romanzo si annunciava troppo audace e così non se ne fece
nulla".
Il romanzo - come
definirlo?, uno scampolo di paganesimo romantico? - è Il
dio femmina stuprato nel bosco, erudito,
esuberante, comico, erotico, soffuso di una spiritualità
steineriana. L'autore è un medico, il trentanovenne Stefano
Marcelli, natali foggiani, padre napoletano, madre
settentrionale, il cromosoma padano via via rivelatosi dominante.
Specializzato in psicologia clinica, cura i pazienti con gli aghi
("Agopuntura in tasca
è il mio best-seller, seimila copie") e con le parole.
Inevitabile il rendez-vous, l'affinità elettiva sperimentata con
Guido Ceronetti, l'anacoreta che ha saputo "dire" il
silenzio del corpo. ("A Guido Ceronetti, provvido mentore e
Fortuna Sbendata" è dedicata, una delle molte dediche,
l'opera.)
E' una storia
perversa, Il dio femmina,
di una perversione fantastica, la fitofilia, l'attrazione fatale,
sessuale, esercitata dalle piante, nel caso su di un fanciullo,
tale Giacomo Canto, destinato a diventare premier, leader
assoluto, due le scommesse: "La programmazione di
un'alimentazione vegetariana di massa e, in pieno accordo col
pontefice, l'istituzione di un culto cristiano degli
alberi". "No, la fitofilia è inutile cercarla nella
letteratura medica, non la si troverebbe, appartiene a una sfera
metaumana - avverte Stefano Marcelli -, io comunque l'ho
sfiorata, magari un miraggio, chissà. Mi trovavo negli Stati
Uniti, in un parco affollato di querce. Ebbene: mi sentii
calamitato, catturato da queste piante".
Fitofilia e
ebraismo, l'ulteriore ramo del romanzo. Che cosa li lega? Ma le
querce, naturalmente: "...nella Terra Promessa - si conclude
la lettera di Giacomo Canto al professor Veritier - dove sono le
querce più giovani e promettenti". Veritier, il centenario
psicoanalista cresciuto alla scuola di Edoardo Weiss che ancora
copula con la governante signora Belandis (miracoli
dell'agopuntura?), un marrano - la famiglia, durante la guerra,
scelse la conversione per fuggire l'Olocausto. Il
dio femmina stuprato nel bosco risalta pure
come omaggio smisurato al mondo, alla civiltà, alla
testimonianza dei figli di Sara e di Abramo.
"Ebraica è la
radice delle grandi rivoluzioni: il cristianesimo, la
psicoanalisi, il marxismo. Sono affascinato dall'intelligenza che
il popolo eletto sprigiona. Veritier - ricorda Marcelli -
stabilisce un nesso fra genialità e circoncisione. Logica,
ancorché destinata a sconvolgere l'opinione pubblica, la
proposta che formula: affidare la guida culturale ed economica
dell'Occidente agli ebrei, ancorché diventati cristiani".
Alla fitofilia il
professor Veritier si accosta seguendo il caso di Giacomo Canto
fanciullo, sorpreso avvinghiato a un giovane castagno dalla
madre, Eris Virginia, donna votata a essere posseduta. Lo stesso
Veritier l'avrà, fra un coito divino e l'altro. Perché stuprare
il dio femmina nel bosco è la sua autentica conquista, teorica e
pratica: "Se l'albero è il pene, dunque l'albero è
maschio, e il cielo è femmina. Avevo ragione: Dio è femmina.
Sto penetrando Dio".
E dire che Stefano
Marcelli, alla narrativa è giunto attraverso sentieri
ottocenteschi: "Ho cominciato a scrivere dopo essermi
imbattuto in un racconto di Gautier..." Massì, le vie che
portano al virgiliano Bosco della Fontana, paradiso dei fitofili,
sono infinite. A proposito, nessuna paura: "Da chi fuggi, o
demente? Anche gli dei abitarono i boschi".
La Gazzetta di
Mantova
venerdì 2 gennaio 1998
IL
ROMANZO DELLA NATURA Le avventure fatate di una città
silvestre
di
Tina Guiducci
Un professore, uno
psicanalista di grande fama, ormai anziano ma non spento in tutte
le sue passioni: Abramo Veritier. Un nuovo leader politico:
Giacomo Canto. Una coppia di sposi: Virginia e Silvano. Una
città silvestre e acquatica, piccola e antica: Mantova. Una
storia che si apre come un frutto, che si lacera per permettere
al sugo dolce di uscire. Un po di dolore e di nostalgia.
Questi sono gli elementi portanti del romanzo Il dio femmina
stuprato nel bosco, dell'esordiente Stefano Marcelli, medico,
poco più che quarantenne. Un libro bello. Il cuore della storia
è il rapporto tra il professore e il giovane Giacomo,
accompagnato dalla madre Virginia nello studio di Veritier, per
la sua "fitofilia". Abramo prende in cura il bambino,
ma decide di avvicinare il più possibile la materia
incandescente di questo amore silvano e sceglie Bosco Fontana per
i suoi esperimenti. La sua vita di uomo e di medico verrà
scardinata. Un mondo fantastico e invisibile, ma caldo e
brillante per chi sa sfiorarlo, si accende davanti agli occhi del
professore, che incontra le divinità silvestri e finalmente
parla davvero con il suo giovane e saggio paziente.
IL MESSAGGERO - sabato 6 giugno 1998
Quell'attrazione
sessuale per le piante. Irresistibile.
di
Renato Minore
LA VICENDA centrale - il nodo intorno a
cui tutto si aggroviglia e si sgroviglia nel romanzo di Stefano
Marcelli - è un singolare rapporto di coppia, di terapeuta e
paziente, di maestro e allievo. La coppia è composta da uno
scienziato centenario, Abramo, che, senza Viagra, si mantiene
ancora sessualmente assai arzillo, e da un suo giovane ex
assistito, Giacomo, ora assunto ai fasti politici, ma un tempo
afflitto da una singolare patologia: la fitofilia, l'attrazione
irresistibile (e sessuale) per le piante. Un caso raro, unico,
che merita attenzione e cure sistematiche: così sulle tracce
della memoria di una malattia così improbabile, si sciorina la
scena romanzesca in cui Abramo, allievo di Edoardo Weiss, vive un
suo particolarissimo rapporto con la conoscenza religiosa.
Eccentrico
raccontatore di storie, storie anche minime che si perdono nel
gran fuoco della storia centrale: Stefano Marcelli è forse
l'esordio più ghiotto dell'annata letteraria e averlo nello
Strega renderebbe più ricco il coller della cinquina. Il suo
talento è nel saper omogeneizzare un universo di buffi o di
diversi, ognuno segnato da una mania devastante, come la madre
ninfomane di Giacomo. Marcelli tritura tutto, dal pansessualismo
che perfeziona la vena panica e naturalistica, allo psichismo
come chiave di interpretazione della persona, all'ebraismo
singolarmente affiorato nel personaggio minore di Nerone, addetto
alle cremazioni nel cimitero di Venezia. Il suo rigore è
nell'eccesso, nella proliferazione che talora può anche essere
troppo esplicativa o didattica, contagiosa e deformata. Ma in
questo caso, il troppo non è leopardianamente "parente del
nulla". Rispetto a nature più parsimoniose e intimistiche o
centrate sull'effetto cannibalico o post-pulp, Marcelli ha una
pista sicura e ossessiva. Ha un orecchio molto registrato che gli
cura il ritmo saltante del racconto e gli evita la dispersione e
la pura erranza musicale. E' però scrittore che, con facilità,
può attorcigliarsi nella maniera di sé. L'augurio è che non
perda la sua qualità già a sufficienza evidente. O non la
baratti, o non la riduca in formula se avrà (come è probabile)
un po' di successo.
La Scrittura - Autunno/Inverno 1997-98
RASSEGNA
NARRATIVA
di
Antonella
Sarti
"Ma è
proprio quando la coscienza dei sensi è all'acme della luce che
si affaccia sottile la tentazione, la necessità d'ombra."
Omosessualità, fitofilia ed ebraismo sono i
punti di snodo del primo romanzo di Marcelli, dotta esaltazione
in chiave comico-fantastica della diversità. Una diversità in
senso lato alla cui accettazione si giunge attraverso giullare,
circense demolizione di tabù atavici, primo fra tutti quello
mosaico della rivelazione del padre e della conoscenza, tradotto
nell'iniziazione alla sessualità di un bambino. Analizzando il
caso del fanciullo Giacomo Canto, orfano di padre, e affetto da
fitofilia - attrazione sessuale per le piante - l'emerito
professor Abramo Veritier, profugo dalla Russia antisemita del
bolscevismo, si vede costretto a psicoanalizzare se stesso,
liberando le infinite perversioni delle proprie pulsioni
sessuali, nonché manie intellettuali. Offrendosi come padre
consustanziale a Giacomo, Veritier si accosta a tale culto della
natura, in un'unione spasmodica tra l'immaginario e la carne.
Stuprare il "dio femmina" nel bosco, nell'abbraccio di
un albero secolare, è per il sessuologo-psicoanalista culmine
inevitabile di una vita trascorsa a dissertare sulla teoria del
sesso femminile di dio e sul nesso tra genialità e
circoncisione, e quanto mai risultato del proprio desiderio
inibito di fagocitare una conoscenza ultima, proibita, di
trasgredire. Di stuprare, cioè, un Cielo perduto per potersene
riappropriare. Accanto al filtro letterario di Dante, Göthe, e
del Virgilio delle Bucoliche, che
ispirano al protagonista la percezione di essenze orfiche
liberate nel bosco durante la consumazione di tale atto, l'autore
lascia intravedere nel rapporto di Veritier con Giacomo il
desiderio incestuoso di possedere un
figlio, l'innocenza. Una possessione metafisica, prima ancora che
fisica, nonostante i velati accenni del romanzo al tema ormai
quotidiano dell'abuso sessuale dei minori, e al viaggio che
tramite i suoi bizzarri personaggi esso compie nel mondo della
sessualità adolescenziale B percorso a ritroso per riscattarsi
da un modo distorto, morboso e persino macabro di viverla da
adulti. Il dio femmina stuprato nel bosco è
un grande esordio anche per questo: riesce a misurarsi con quella
domanda gigantesca e irrisolta che tanta parte muove della
letteratura ebraica B da che cosa nasce il desiderio di
possessione, l'ossessione di entrare in un corpo, di divorarlo,
di praticare riti proibiti o condannati? Che cosa si vuole
esorcizzare? Forse è il dybuk (il
peso della tradizione, uguagliato alla voce del male, al tabù)
che secondo Guido Fink (A piedi da Wielpole:
note sul cinema yiddish) ogni ebreo si porta
dentro. E dunque la paura della tradizione, l'esempio dei
"padri" che blocca? O la schizofrenia generata tra il
terrore di esibirsi e il bisogno di farlo, mascherandosi
inevitabilmente per essere accettati? Oppure l'arroganza di una
conoscenza solo simulata che trattiene dalla genialità della
vita naturale, una vita dei sensi che può rivelare l'arcano al
di là del raziocinio nella spontaneità del piacere? Tali
quesiti solleva il romanzo, una tavola aperta che, per certi
tratti, sembra ricollegarsi idealmente al dramma pirandelliano
degli uno, nessuno e centomila volti be ardi che nel chiudersi a
cerchio del pensiero angosciano e deridono, tentando di
demistificare l'identità dell'uomo contemporaneo.
adesso HERAUSGEBER UND VERLAGSLEITER
6/98
LIBRI
di
Luca Vitali
Come il titolo
stesso suggerisce, il romanzo è ricco di simbologie religiose e
psicanalitiche. Non di scuola junghiana, come forse ci si
aspetterebbe, ma più nel solco della tradizione freudiana e
psichiatrica (l'autore è medico). Marcelli non solo è
intelligente, ha anche un'ottima sensibilità letteraria e riesce
a creare attorno ai suoi personaggi, ricchi di vissuto,
un'atmosfera coerente e viva. Sono tre, e potrebbe anche essere
una coincidenza: il medico, un ebreo di origini nordiche che vive
nel mantovano, il bambino, innocente "malato" di una
strana perversione sessuale chiamata dal medico
"fitofilia", e sua madre, una misteriosa signora dalla
origini balcaniche. Non è difficile riconoscere nella novella i
lineamenti della favola del figlio del re del mondo, arrivato
sulla terra per derimere una società ormai prossima alla
disperazione totale. E perché no, viene da chiedersi, se viene
raccontata con ironia e garbo? Difficoltà: media. Stile:
letterario.
Espresso
Talks n° 19 - 3 aprile
1998
di
Rebecca Anne
Wright (NYU)
Stefano
Marcelli, Il dio
femmina stuprato nel bosco (Roma: Fazi
Editore, ott. 1997) Oscillating between the realms of fantasy and history, psychoanalyst Abraham Veritier and his patient Giacomo,
"il bambino degli alberi", emerge suspended in the
dreamlike reality of a narrative that explores the dynamics of
desire and the mutability of its objects.
il manifesto - giovedì 13 novembre 1997
Un dio
femmina tra botanica e pornografia
di
Filippo La
Porta
Penetrare
sessualmente il cielo.... In questa frase, tratta
dall'opera prima di Stefano Marcelli (Il dio femmina stuprato nel
bosco), si riassume la filosofia estrema,
"carnevalesca" del romanzo: teologia e pornografia,
misticismo e vernacolo, botanica e sessuologia, mitologia antica
e politica contemporanea. La trama fittissima, straripante di
personaggi e storie, sembra davvero appagare la nostra fame
arretrata di narratività, in tempi di aridi minimalismi e di
pensose, asfittiche autobiografie. Né avrebbe senso riassumerla,
tanti sono i colpi di scena, le agnizioni, gli aforismi, le
digressioni, i frammenti saggistici di cui è disseminata.
Basterà ricordare che vi si narra di come Giacomo Canto, figlio
di Ur, dio vegetale femmina (o del mite guru Silvano, utopista e
mistico dei boschi) e di una povera donna bigotta e ninfomane,
affetto da una malattia rarissima, la "fitofilia" (si
unisce agli alberi, preferibilmente castagni) diventò primo
ministro, anche grazie all'educazione del professor Veritier,
ormai centenario, che vive a Mantova con una governante
"ancora soda e tenace" (di cui è stato il primo uomo).
E effettivamente il vecchio professore ebreo, la cui storia si
perde nei pogrom antisemiti della Russia bolscevica, con la sua
teologia del piacere anale e la sua voracità sessuale, è il
personaggio più vivo del romanzo. Di qui poi una lunga catena di
accoppiamenti sessuali, orgasmi, racconti mitici, minitrattati
sull'eros (con la riproposizione assai persuasiva di quel
Dio-femmina già caro a Papa Luciani...), di commenti ai classici
e alle Sacre Scritture. Con questo libro l'editore Fazi inaugura
una collana di autori italiani esordienti, che oggi è come
avventurarsi, senza molte bussole, in un oceano testuale
sterminato, che ricopre l'intera penisola, fatto di migliaia e
migliaia di dattiloscritti proposti quotidianamente a case
editrici, riviste, premi letterari, etc. La scelta del romanzo di
Marcelli, che può esibire una insolita carica affabulatoria ma
che presenta alcuni difetti d'insieme non trascurabili, ha il
pregio di delineare subito una precisa fisionomia della collana,
abbastanza in linea con il già nutrito catalogo del giovane
editore. Eleganza, gusto della classicità stravagante, cultura
raffinata. Orazio, Dante, Shakespeare, la Bibbia..., esoterismo e
mistica ebraica, sadomaso e astrologia, zingari e creature
invisibili, e ancora medicina, genetica, zoologia, linguistica...
A volte sembra di star leggendo un romanzo tipicamente Adelphi:
ricordiamo in proposito quell'esordio di Paolo Maurensig (anche
lì come in Marcelli perfino i nazisti!), che appariva come un
insuperabile spot pubblicitario dell'editore (che non sia la casa
editrice di Calasso la segreta aspirazione dell'austero e
squisito Fazi?). Fuor di battuta, Il dio femmina stuprato nel
bosco si presenta come un romanzo ambizioso, in cui molte e
diverse suggestioni sono frullate vorticosamente, ma con una
certa inerzia e mancanza di ironia nella costruzione. Gli si
riconosce volentieri una generosità di racconto, una lingua
educatissima, una precisione nei riferimenti scientifici
(l'autore è medico). Ma per questo genere di romanzo, di vivace
mescolamento di alto e basso, tradizione colta e Kitsch (pensiamo
al Quinto elemento di Luc Besson: anche lì si celebra la Vita!)
occorreva più verve e umorismo. Possiamo anche scrivere che
"il sole era alla suprema culminazione"
(un neologismo da prosa un po' ricercata e poi
parlare dell'"organo a canna della voluttà"
(espressione quasi da rivista trash), ma forse ci si dovrebbe
divertire di più a farlo. Mentre l'autore in più di
un'occasione si sforza di essere lieve e spiritoso ma senza
risultato, come quando Veritier si avvicina, eccitatissimo,
all'oggetto del desiderio "a passi felpati, da predatore
della savana". Alla fine in questo bosco rigoglioso e
vagamente adelphiano troviamo un eccesso di aromi, e una
intenzione troppo seriosa.
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